LETTERA APERTA ALLE FAMIGLIE
Questi sono alcuni pensieri che mettono a fuoco un percorso che riteniamo sia di supporto per la famiglie che si trovano ad affrontare un problema di disagio psichico.
Purtroppo tante volte, nel nostro lavoro sul disagio psichico, abbiamo incontrato famiglie provate da tempo da storie di sofferenza, famiglie confuse, disorientate, sfiduciate, incattivite da continui tentativi che le hanno depauperate in termini emozionali ed economici.
Così come abbiamo visto famiglie che per tanto tempo sono vissute nell’isolamento e nella solitudine prima di trovare il coraggio di chiedere aiuto. Il percorso delle famiglie rispetto alla malattia mentale è quasi sempre simile nei suoi passaggi e sviluppi. Quando si manifestano i primi segnali di problemi psichici, la famiglia spesso è colta impreparata, incredula per ciò che sta succedendo: sbigottimento, vergogna, paura, colpa, disorientamento, estraneità, isolamento, tensione e sfiducia. Il più delle volte la tendenza è temporeggiare, minimizzare, nascondere all’esterno ciò che succede, per vergogna, per pudore.
Oppure la famiglia, colta dalla confusione e dall’ansia, investe più persone del problema, nella ricerca affannosa di soluzioni rapide e radicali.
D’altra parte per chi è portatore di disagio, la famiglia diventa progressivamente l’unico luogo di scambio sociale: i familiari sono percepiti come fonte d’aiuto e protezione, ma anche causa della propria difficoltà esistenziale. Chi sta male cerca di dettare in casa le proprie regole: alterna la richiesta di attenzione continua ed esasperata a reazioni abnormi per la sensazione di controllo.
Paziente e familiari si trovano avvolti in un groviglio di legami contraddittori di affetto, necessità, insofferenza, dolore, esasperazione, protezione, odio, che aggiungono sofferenze alla famiglia ed al paziente.
Accade così insistentemente che i genitori si attribuiscono colpe reciproche e che la loro alleanza genitoriale si rompa e la loro relazione di coppia diventi problematica perdendo così le risorse legate all’alleanza coniugale e genitoriale. In tale situazione accade spesso che per non aumentare il livello di tensione si tenda a lasciar correre, ad accondiscendere, a non affrontare situazioni che richiederebbero chiarezza e prese di posizione. Quante volte abbiamo visto, per amore dei figli, genitori che tollerano violenze pericolose per chi le riceve e per chi le compie. Tuttavia l’atteggiamento permissivo può aumentare l’angoscia ed il malessere di chi sta male, che vive mancanza di contenimento e limiti.
Al contrario, abbiamo visto, che per difendere una convivenza apparentemente civile, magari per proteggere gli altri figli, “sani”, si assumono posizioni molto rigide di “non accettazione” e/o di “negazione” della malattia del congiunto: “Ha solo delle storie….”, con conseguenti atteggiamenti punitivi ed espulsivi rispetto al paziente.
Comunque e sempre l’incontro con la malattia mentale, è un percorso difficile e devastante per la famiglia, ed anche dopo tanto tempo, il bisogno di confronto, speranza ed ascolto è sempre presente.
Ma chi ha lavorato o è stato accanto o ha vissuto per tanti anni con queste problematiche, una cosa la sa: cercare insieme, con pazienza, speranza e tenacia, “ciò che è invisibile agli occhi”, insegna un sapere che è molto prezioso per le cure. In quel sapere ci sono non solo le sorgenti e le radici, ma anche la terra e l’acqua: il filo della storia per aiutare la famiglia a ritrovare la propria identità e la propria strada evolutiva.
C’è una canzone, scrive Salvador Minuchin, che merita di essere cantata ed è la canzone delle relazioni umane, del legame attraverso il quale le persone si arricchiscono e crescono.
Purtroppo il clamore dei conflitti e delle difficoltà annulla gli aspetti silenziosi della sottile armonia dell’adattamento reciproco e della solidarietà, che invece spesso esistono sopiti.
In un clima di tensione, l’astio ed il rancore prendono il sopravvento su ogni aspetto positivo “Pensi solo a te …, lo non conto niente, pensi solo a controllarmi”.
Allora è importante che la famiglia venga aiutata ad essere e rimanere e diventare sempre più “custode di solidarietà”.
Ma perché questo avvenga, è necessario come un allenamento, un continuo passaggio di prospettiva dall’individuo alla relazione. La prospettiva dall’individuo alla relazione comporta un cambiamento della comunicazione e del modo di comprendere ciò che succede e modifica il modo di stare tra le persone.
Questa prospettiva può all’inizio creare sconcerti e sembrare poco comprensibile.
Ma, là dove i membri di una famiglia riescano a vedersi nella propria relazione intrafamigliare, possono scoprire una diversa modalità della relazione, che aiuta loro a superare la frustrazione determinata dal comportamento alterato del congiunto.
La scommessa che proponiamo è proprio questa: imparare il cambiamento di prospettiva dall’individuo alla relazione, può aiutare una famiglia con problemi di disagio psichico ad affrontare meglio e con modalità diverse le difficoltà quotidiane.
Dottoressa Susanna Cielo
Psichiatra e psicoterapeuta